Protocollo n. 4134_2013 del 18/06/2013

Oggetto: Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e proposte per l’attuazione a livello di singola Istituzione scolastica della Direttiva MIUR del 27.12.2012 e della Circolare MIUR – D.G. Studente prot. n. 561 del 6.03.2013.

Come è noto, la Direttiva del 27 dicembre u.s. e la relativa circolare attuativa[1], richiamate all’oggetto, hanno riconosciuto l’urgenza di ampliare il bacino della cura educativa già destinata agli alunni con disabilità (ex lege n. 104/1992) e con DSA (ex lege n. 170/2010) anche a tutti quegli alunni che manifestano “inadeguatezza” alle sollecitazioni dell’ambiente scolastico sia con riferimento a comportamenti ritenuti disadattavi sia con riferimento al mancato raggiungimento dei risultati attesi e in ordine alle competenze culturali e in ordine alle competenze chiave di lifelong learning (UE, Raccomandazioni del 2006).

Per la realizzazione delle finalità in premessa, i documenti in discussione richiamano esplicitamente il D.P.R. n. 275/1999, prima, e la L. n. 53/2003, poi, nelle parti in cui essi statuiscono che i docenti e, quindi, le istituzioni scolastiche autonome si facciano carico dei bisogni di ciascuna persona coinvolta nei processi didattico-educativi, anche con strumenti personalizzati.

Di tale problematica si è discusso nella Conferenza nazionale di servizio tenutasi dal 7 al 9 giugno in Montecatini, della quale si portano qui le risultanze.

Si pone quindi all’attenzione il tema dell’autonomia scolastica, e, in particolare il curricolo d’istituto quale sede primaria per la progettazione e per la realizzazione dell’inclusione.

In questa direzione è orientato anche il contenuto delle novate Indicazioni per il curricolo 2012, nella parte in cui richiamano la dimensione dell’inclusività quale indicatore di efficacia e di equità dell’azione didattico-educativa.

Non sfugge che l’attuale visione della inclusione si avvale di un percorso normativo/ordinamentale, oltre che scientifico/valoriale, del quale possiamo individuare, come elementi significanti:

la l. 104/1992 fino alle Linee Guida per l’integrazione scolastica;
il Regolamento sull’autonomia scolastica fino alle Linee guida attuative della l. 170/2010,
l’attuale definizione dei curricoli del Primo e del Secondo ciclo;
i risultati delle azioni strategiche, promosse dal MIUR a livello nazionale dal 2005 in poi, quali il progetto Nuove Tecnologie e Disabilità;
il Piano I CARE e l’implementazione scolastica dello strumento ICF a mezzo di percorsi di ricerca-azione;
le pratiche inclusive già modellizzate per l’integrazione degli alunni con cittadinanza straniera.
Le Indicazioni giuridico-amministrative contenute nei documenti ordinamentali e le pratiche di integrazione, maturate in contesti e con obiettivi differenti, sono assunte ora intenzionalmente al rango di segmenti di una dimensione inclusiva del Sistema Nazionale di Istruzione e Formazione, già implicitamente attuale, ma finalmente esplicitata in un disegno strategico funzionale all’efficacia e all’equità del Sistema medesimo.

Non è da trascurare, inoltre, il collocarsi della proposta entro l’orizzonte culturale europeo e internazionale, nella misura in cui essa consente uno spostamento della prospettiva di lettura del bisogno educativo dalla categoria di appartenenza del singolo alunno alle proprietà, strutturali e dinamiche, dell’ambiente all’interno del quale si chiede all’alunno di apprendere.

Il mutamento di paradigma è radicale, richiedendo di attuare una vera e propria rivoluzione copernicana: non si tratta più di “adattare” progressivamente la proposta didattico-educativa al funzionamento di una o più specifiche categorie individuate di bisogni “certificati”, ma si tratta di osservare la fenomenologia scolastica del funzionamento di ciascuno per coglierne la specifica richiesta e costruire risposte efficaci che “includano” quei funzionamenti, consentendo loro di manifestarsi in termini di buoni-funzionamenti

Detta traduzione concreta della proposta già contenuta nello strumento ICF (OMS, 2002) necessita, dunque, di transitare attraverso una lettura del funzionamento degli studenti che rinunci a muovere da categorie nosografiche e/o cliniche e/o sociali predeterminate (e, quindi, certificate, secondo le diverse modalità correnti), per attingere la rappresentazione del bisogno educativo speciale direttamente nella fenomelogia comportamentale degli alunni. Si tratta di situazioni, temporanee o permanenti, di difficoltà, caratterizzate dal divenire e dalla complessità della persona, dalle sue condizioni di vita e dai contesti di riferimento e, pertanto riconducibili ad una pluralità di paradigmi di analisi (clinico, pedagogico, psicologico, sociologico, ecc.), che rinvia a forme di prese in carico altrettanto multidimensionali.

Acquisito, quindi, che tra i BES ricadono per certo:

1. gli alunni con disabilità certificata ai sensi della l. n. 104/1002 (quindi dotati di diagnosi funzionale e supportati dal docente di sostegno e dalle figure cosiddette aggiuntive, quali assistenti all’autonomia e alla comunicazione, educatori professionali, ecc.);

2. gli alunni con DSA certificati ai sensi della l. n. 170/2010 (quindi dotati di diagnosi / certificazione redatta coerentemente con il disposto dell’Accordo sottoscritto in sede di conferenza unificata ad agosto 2012);

3. gli alunni con altri disturbi evolutivi specifici, non ricadenti nella l. 104/92 né nella l. 170/2010, ma parimenti oggetto di letture diagnostiche di segno clinico (ad es. funzionamento intellettivo limite, disprassia, ecc.),

resterebbe da circoscrivere una fascia di bisogni educativi speciali ulteriori, connessi all’ampio ventaglio di disfunzioni che possono leggersi nel comportamento scolastico a fronte di situazioni di svantaggio sociale, economico, culturale, più o meno temporanee o permanenti, ovvero a fronte di situazioni personali legate a vicende specifiche e a durate temporali variabili.

Quanto a quest’ultima fascia di BES, vale sottolineare che non trattasi di trovare “nuove categorie”.

Si pensi, a titolo esemplificativo, all’ipotesi di un alunno appartenente a una famiglia oggettivamente svantaggiata dal punto di vista economico e culturale caratterizzato da un funzionamento di eccellenza, in virtù di risorse personali adeguatamente mobilitate, e, di contro, all’ipotesi di un alunno “normale” o addirittura “avvantaggiato” per le caratteristiche socio-culturali del contesto di provenienza, che manifesta comportamenti disadattavi in virtù di un profondo disagio personale.

Fermo restando il funzionamento bio-medico di ciascuno, occorre individuare indicatori di lettura della manifestazione di esso per stabilire se il Consiglio di classe possa assumere su di sé la responsabilità di farsene carico in termini di “specialità”, dedicandogli, di conseguenza, una speciale attenzione.

A tal proposito, Dario Ianes (Università di Boilzano), intervenuto alla Conferenza Nazionale MIUR sui Bisogni Educativi Speciali, ha proposto l’adozione di tre indicatori per la lettura del funzionamento degli alunni speciali, che qui si richiamano: 1. il danno; 2. il pericolo; 3. lo stigma. E’ compito dei Consigli di Classe stabilire in quale misura la fenomenologia funzionale dell’alunno possa costituire danno per sé e/o per gli altri, o pericolo per sé e/o per gli altri, o, secondo un ventaglio di sfumature semantiche sempre più ampio e migrante dalla dimensione oggettiva a quella culturale e valoriale, possa generare risposte del contesto che rischiano di integrare categorizzazioni stigmatizzanti per il comportamento medesimo e, quindi, per la persona che ne è portatrice.

Sulla scorta di quanto innanzi, occorre dunque che le SS.LL., unitamente ai diversi livelli collegiali coinvolti, procedano ad avviare, documentandola adeguatamente, una riflessione utile ad autovalutare la dimensione inclusiva di ciascuna istituzione scolastica, anche avvalendosi delle rubriche valutative elaborate in esito ai percorsi di ricerca-azione condotti nell’ambito delle reti attive nel Piano I CARE, nel progetto nazionale ICF, o anche attingibili dall’INDEX per l’inclusione (disponibile in rete anche in traduzione italiana) e resi disponibili dal progetto QUADIS (Qualità dell’Inclusione Scolastica-USR per la Lombardia e ANSAS, disponibili, previo accreditamento, al link: http://www.quadis.it/jm).

Atteso che ogni studente ha una peculiare forma di eccellenza cognitiva e una propria caratterizzazione che esige un’opportuna differenziazione degli itinerari di apprendimento, “la scuola inclusiva richiede sistemi di istruzione flessibili in risposta alle diverse e spesso complesse esigenze dei singoli alunni” (Agenzia Europea per lo Sviluppo dell’Istruzione degli Alunni con Bisogni Educativi Speciali).

L’inclusione viene dunque a configurarsi come un ampliamento qualitativo dell’integrazione, che ne resta condizione necessaria, ma non ancora sufficiente, ove non si sia in grado di strutturare un’offerta formativa “ordinariamente individualizzata, quando necessario” (Janes-Canevaro). In tale direzione si ritiene debbano essere condotte le “fondate considerazioni psicopedagogiche e didattiche” da parte dei Consigli di classe per la presa in carico responsabile degli alunni bisognosi di una speciale attenzione.

Ciascuna istituzione scolastica è pertanto invitata ad avviare un processo di messa a sistema delle risorse (infrastrutturali, strumentali, professionali), degli strumenti (progettuali, di ricerca, valutativi), dei soggetti e dei luoghi istituzionali, intra- e inter- istituzionali, funzionali alla definizione di un progetto curricolare, dapprima, quindi, di un’offerta formativa, integrata di tutte quelle azioni rivenienti anche da misure sussidiarie di finanziamento (FSE e FESR, per citarne solo alcune) unitariamente e stabilmente orientata a non lasciare indietro nessuno e a valorizzare il potenziale di ciascuno, ivi comprese le eccellenze.

Il Gruppo di Lavoro per l’Inclusione (GLI), in sostituzione e ampliamento del Gruppo di Lavoro per l’Handicap di Istituto, si propone quale soggetto promotore e coordinatore di tale azione di sistema, nella misura in cui, dando voce a tutte le componenti intra- e inter-istituzionali responsabili della presa in carico dei bisogni educativi del territorio di riferimento della singola istituzione scolastica, si qualifica come il luogo per antonomasia donde muove l’impulso all’autodiagnosi e in cui si raccolgono le proposte di azione per sintetizzarle in kit metodologico-strumentali capaci di farsi bussola strategica per la promozione di apprendimenti di qualità.

Strumento principe per favorire l’implementazione di detta azione di sistema è il Piano Annuale per l’Inclusività (PAI): documento programmatico che contiene la rappresentazione del bisogno (censimento degli alunni bisognosi di speciale attenzione a fronte della compiuta osservazione del funzionamento scolastico che li caratterizza), degli input (risorse strutturali, infrastrutturali, strumentali, professionali) di cui ciascuna istituzione scolastica dispone per la presa in carico del bisogno rappresentato; dei luoghi intra- e inter-istituzionali deputati alla progettazione e attuazione della presa in carico del bisogno; degli strumenti adottati per la presa in carico (PEI e PDP); dei metodi e degli strumenti adottati per la verifica dell’efficacia della dimensione inclusiva progettata e implementata. Finalità precipua del PAI è sintetizzare, in una rappresentazione il più possibile snella e dinamica, lo stato del bisogno censito e la concreta linea di azione che si intende attivare per fornire risposte al bisogno medesimo. Così inteso, esso è funzionale alla riorganizzazione qualificata delle risorse in campo per la realizzazione della dimensione inclusiva della scuola e non per la giustificazione di richieste, ad esempio, di dotazioni organiche ulteriori.

Essendo al momento nella fase di avvio del complesso processo di revisione e di messa riflessiva a sistema di pratiche didattico-educative, organizzative, gestionali, istituzionali e interistituzionali, si invitano le SS.LL. a voler interpretare il documento da prodursi entro la fine del corrente mese di giugno come una prima proposta di riflessione, a fronte di un modello, elaborato in sede ministeriale e diffuso in allegato alla presente nota, il quale, ancorché rigido e perfettibile, intende proporsi quale mera base di lavoro a partire dalla quale la sola pratica riflessiva delle professionalità operanti sul campo potrà pervenire alla strutturazione di un format realmente utile a rappresentare la ricerca educativa per l’inclusione quotidianamente compiuta dalle istituzioni scolastiche autonome.

Ciò atteso, e sulla scorta delle indicazioni fornite con la circolare ministeriale in parola, è intendimento dello scrivente censire, nel metodo e nel merito, le proposte di PAI, al fine di elaborare, anche attraverso la collaborazione e il supporto delle reti dei Centri Territoriali di Supporto (già attivi in tal senso) e dei Centri Territoriali per l’Inclusione (in corso di riorganizzazione), un modello condiviso, che potrà essere restituito alle istituzioni scolastiche dei territori regionali entro l’inizio del prossimo a.s., in modo da facilitare la revisione dinamica delle proposte elaborate a giugno e in modo da favorire la condivisione di strumenti comuni di monitoraggio e di valutazione delle azioni intraprese.

Con successiva comunicazione saranno fornite indicazioni in merito.

Persuaso della filosofia strategica sottesa alla definizione degli strumenti regolativi dei Bisogni Educativi Speciali e consapevole della complessità del processo culturale che essi intendono avviare, lo scrivente confida nelle note professionalità delle SS.LL. e dei docenti attivi presso le istituzioni scolastiche dei territori regionali.

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