Il principio base dei sistemi pensionistici è che i giovani in età lavorativa sostengano gli anziani che non sono più in grado di farlo. In tutti i paesi civili è così, del resto chi lavora per molti anni paga mese per mese una cifra nemmeno tanto trascurabile, destinata all’INPS. La gestione allegra di decenni ha indebolito le casse della Previdenza Nazionale, che in principio era un istituto in salute e con un sistema pensionistico tra i migliori al mondo.
Le baby pensioni, le retributive e il fardello legato al sostegno delle classi svantaggiate e ai disabili che dovrebbero gravare su una gestione a parte, sono tutti settori che attualmente attingono dalle casse dell’INPS. In passato ci sono stati lavoratori andati in pensione a 45 anni, con meno di 20 anni di versamenti e con mensilità di tutto riguardo basate sul metodo retributivo, cioè proporzionale agli ultimi stipendi e a prescindere dal capitale versato. Un’ingiustizia sociale, un nodo che prima o poi sarebbe venuto al pettine. Di queste baby pensioni se ne è fatto un largo uso, così come decine di anni di versamenti abbonati a vari titoli a determinate categorie.
La legge Fornero e la discontinuità
L’INPS era in salute e gli amministratori degli anni addietro mai avrebbero potuto prevedere il meccanismo perverso della moderna economia, che produce precariato e disoccupazione, che di fatto toglie entrate all’istituto, il quale continua a versare le pensioni ad una popolazione sempre più longeva. L’insostenibilità di un sistema che paga premi pensionistici ad una categoria che vive in media 15 anni oltre la soglia sulla quale fu studiato il sistema e che percepisce entrate ordinarie dimezzate dalla inoccupazione giovanile e dal blocco delle assunzioni, era evidente e sotto gli occhi di tutti e non poteva durare a lungo.
In piena crisi economica il Governo Monti varò la legge Fornero, una soluzione logica e consequenziale ma che necessitava di qualche decina d’anni per attuarla senza traumi e che applicata da un giorno all’altro, ha creato la categoria degli esodati e allontanato i limiti pensionistici dalla soglia fisiologica.
La quota 100 e la quota 41
Accedere al diritto alla pensione a 67 anni crea malcontenti e sfiducia nel sistema, il nuovo governo giallo-verde promette di abolirla e/o di rivederla. Una delle idee è la quota 100, secondo la quale il diritto alla pensione scatta quando la somma tra gli anni di versamento e l’età anagrafica è di almeno 100 (ad esempio un lavoratore di 60 anni che abbia versato contributi per 40). L’altra idea è la quota 41, cioè l’uscita dal lavoro per chi abbia versato 41 anni di contributi, a prescindere dall’età.
Tito Boeri stima nell’applicazione della prima delle due alternative un costo di circa 15 miliardi subito e 20 una volta a regime. Il rischio consiste nello stravolgere gli equilibri dei conti pubblici e declassare il paese, rendendolo vittima ancora una volta di speculazioni finanziarie dovute ad un eventuale innalzamento dello spread. Ma al di la di tutto la quota 100 conviene solo a chi ha maturato molti anni di versamenti, infatti chi per esempio ha solo 25 anni di contributi, andrebbe in pensione a 75 anni. Attualmente sono al vaglio soluzioni per lo smussamento del sistema quota 100. Alberto Brambilla (Lega) ha varato un contro-riforma che ne prevede l’applicazione solo al raggiungimento dei 64 anni d’età.
Per contenere la spesa esorbitante, si sta pensando di adeguare al sistema contributivo tutti coloro che hanno usufruito della riforma Dini del 1995. A tutti coloro che con 18 anni di contributi sono andati in pensione tra il 1996 e il 2011 con il sistema retributivo, verrebbero ricalcolati i premi pensionistici in base al sistema contributivo e subirebbero una notevole decurtazione. Viene concesso un margine di due anni in virtù dei contributi figurativi che rientrano nel calcolo.
Con questa manovra il costo della quota 100 passerebbe da 20 miliardi a 5. Nei prossimi giorni dovremmo assistere finalmente ad una svolta, ma in tutta questa confusione un solo dato è certo: se non riparte l’economia con le relative assunzioni, il sistema pensionistico è destinato prima o poi a collassare.