Il tema pensionistico continua ad agitare non poco la scena politica italiana, anche perché proprio la materia è stata spesso al centro dei programmi dei partiti nel corso dell’ultima tornata elettorale. Il varo della riforma Fornero, se da un lato ha infatti contribuito a rendere più sostenibile il sistema pensionistico, dall’altro ha allungato spesso a dismisura l’età del pensionamento, adeguandola in particolare all’aspettativa di vita. La riforma condotta in porto dal governo Monti, però, ha avuto effetti di larga portata su una categoria del tutto particolare, ovvero quella rappresentata dai cosiddetti lavoratori precoci.
Chi sono i lavoratori precoci
Per lavoratore precoce si intende quel fornitore di manodopera che ha iniziato a lavorare prima del conseguimento della maggiore età e che proprio per effetto delle varie riforme portate avanti nel corso degli anni, le quali hanno via via allontanato la data di uscita dal lavoro, rischiano di andare in pensione con un numero di anni più alto di quello che pure sarebbe bastato prima per maturare il diritto. Il tema è diventato tristemente noto proprio con la riforma predisposta dal Ministro Elsa Fornero e approvata nel 2012 dal Parlamento.
Prima di questa decisione, tutti coloro che avevano fatto il loro esordio nel mondo del lavoro prima di aver compiuto la maggiore età, una volta raggiunti i 40 anni di contributi potevano andare in pensione, anche nel caso in cui non fossero stati in possesso del requisito anagrafico. L’approvazione della riforma ha creato notevole malcontento nell’opinione pubblica, in quanto con la nuova normativa sono state abolite le pensioni di anzianità e di conseguenza questa categoria di lavoratori è stata equiparata alle altre. Un danno non di poco conto, considerato che con la legge Fornero queste persone sono obbligate ad arrivare ad almeno 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e un anno in meno per le donne.
Proprio per cercare di ovviare a quella che si presenta come una sorta di ingiustizia, nel corso degli anni sono state avanzate proposte tese a risolvere il problema, soprattutto nei confronti dei lavoratori che hanno svolto funzioni usuranti nel corso della loro vita. Ancora oggi, però, il tema non ha trovato una soluzione condivisa tra le varie forze politiche.
Un tema tornato di nuovo in auge
Nel corso della campagna elettorale, quasi tutti i partiti hanno preso posizione, spesso contraria, sulla legge Fornero. Un provvedimento che ha dei chiari limiti proprio in rapporto al tema dei lavoratori precoci, generando in molti di essi l’impressione di una vera e propria ingiustizia. In particolare, il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, si era speso prima del voto per un superamento di quella normativa. Un proposito che però sembra destinato a scontrarsi con l’ancora precario stato dei conti pubblici. Superare del tutto la legge Fornero, comporterebbe infatti una spesa che il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria ha giudicato non sostenibile in questo momento per i conti statali, soprattutto alla luce di una serie di fattori che potrebbero metterli di nuovo sotto pressione in autunno, a partire dalla prossima fine del Quantitative Easing promosso dalla Banca Centrale Europea guidata da Mario Draghi.
Lo stesso Tria ha quindi affermato di non essere assolutamente contrario a portare avanti riforme di forte impatto finanziario, un novero in cui rientrano del resto anche la Flat Tax e il Reddito di Cittadinanza, a patto di riuscire comunque a far quadrare i conti. Una precisazione tale da rendere complicato rispettare le promesse fatte in campagna elettorale.
Le ultime novità
Se qualcuno si aspettava che il recente Decreto Dignità iniziasse ad affrontare il problema, tale attesa è però andata delusa. Va invece sottolineato come il tema della pensione per i lavoratori precoci sia stato affrontato da Walter Rizzetto, parlamentare del Movimento 5 Stelle che è stato eletto vicepresidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati.
Lo ha fatto in una recente audizione, nel corso della quale ha voluto ricordare come stia lavorando insieme ai colleghi al fine di trovare soluzioni di buon senso ad un problema reale che riguarda molte persone che avrebbero ormai diritto a poter andare in pensione, proprio in forza del conseguimento del requisito contributivo, ma non possono farlo a causa dell’età. Tra le proposte che sono state avanzate, Rizzetto ha voluto ricordare proprio quella da lui stesso rilanciata, ovvero la cosiddetta quota 41. In questo caso, il lavoratore che abbia raggiunto i 41 anni di contribuzione potrebbe uscire dal lavoro senza doversi sottoporre ad alcun taglio, ma soprattutto indipendentemente dall’età. Ora non resta che vedere se tale orientamento troverà ascolto nel governo Conte.